L’estate è mite a Odessa quell’anno. Un refolo d’aria salmastra corre dai viottoli del porto fino alla valle delle Deribasovska, rotolando per la scalinata Primorskij (meglio nota come scalinata Potemkin), arrivando fino in centro.
La città è viva, brulicante; poco distante dai quei luoghi si estende l’elegante suburbio di Bol’šoj Fontàn, dove il 23 Giugno del 1889 viene alla luce Anna Andreevna Gorenko. Figlia dell’ingegnere navale Antonovič Gorenko e della nobile Inna Erazmova Stogova, terzogenita di cinque figli, Anna mostra subito la sua indole acuta e vitale. Impara presto a leggere su Il libro di lettura di Lev Tolstoj e, assistendo alle lezioni di francese impartite ai fratelli maggiori, già a cinque anni padroneggia in maniera fluente la lingua. A dieci anni il suo giovane organismo viene debilitato da una grave malattia, ma con la caparbietà e la forza d’animo che la contraddistinguono, combatte con tutte le sue forze riguadagnando la salute.
Forse è per questo motivo che intorno agli undici anni pulsa dalla precoce impellenza di scrivere la propria biografia che viene gelosamente racchiusa fra le pagine di un piccolo libretto rosso, sottratto in cucina, dove sua madre era solita annotare le spese di famiglia e le ricette. Fra quelle righe sono impressi gli odori, i sapori, gli scorci indimenticabili dei paesaggi estivi in Crimea, dove le fu dato l’appellativo di “ragazzina selvaggia” a causa del suo atteggiamento libero e disinibito. In quei giorni lieti Anna era un tutt’uno con la natura: camminava scalza per le spiagge e per i prati, con i capelli sciolti e scompigliati dal vento, infrangendo le regole della buona creanza, prime fra le tante costruzioni sociali che avrebbe fatto vacillare nel corso della sua esistenza.
In coincidenza con l’inizio del nuovo secolo, inconciliabili divergenze covano in seno alla famiglia. Esse creano una profonda frattura nei rapporti fra i genitori di Anna, tanto da causarne la separazione. La disgregazione del nucleo è un passaggio quasi obbligato: Anna e i suoi fratelli seguono la madre a Evpatorja, dove la futura scrittrice termina il liceo femminile, per poi trasferirsi a Kiev nella più volte citata casa della Suchardina (“Le persone della mia generazione non sono minacciate da un triste dover tornare – non sapremmo dove…”)
Si iscrive alla facoltà di legge, ma il suo carattere indomito la porta a trascurare gli studi -come lei stessa ammette – per dedicarsi alla poesia. Scrive brevi racconti, compone poesie e manifesta l’intenzione di pubblicarne alcune, ma questa decisione non sortisce l’effetto sperato. Viene severamente osteggiata, in particolar modo dal padre, il quale le vieta l’uso del cognome di famiglia: “Quando venne a sapere delle mie poesie mi disse – Non infangare il mio nome! – Non so che farmene del tuo nome – gli risposi”. Sceglie così di adottare il cognome della bisnonna materna, Achmatova, discendente dal nobile khan tataro degli Achmat (che lanciarono l’ultima offensiva dell’Orda d’Oro contro i principi di Mosca).
Si delinea lo pseudonimo di Anna Achmatova, da Brodskj battezzato coi seguenti versi “Il suo nome fu il suo primo verso di successo memorabile, nella sua acustica inevitabilità…” si riferiva alle cinque “A” che la collocheranno in testa all’alfabeto della poesia russa.
La prima poesia ancora acerba, scritta quando aveva solo undici anni, viene pubblicata in questo periodo sulla rivista parigina “Sirus” edita da Gumilëv, suo amico d’infanzia, collega di studi e indomito pretendente. Il poeta Nikolaj Stepanovič Gumilëv è follemente innamorato della Achmatova, al punto di tentare più volte il suicidio nell’incapacità di tollerare i suoi dinieghi. Ad ogni rifiuto segue una corte sempre più serrata che vede Anna capitolare, infine, sotto la pressante morsa adulatoria. Nel 1910 convolano a giuste nozze, coronando questa unione con un viaggio a Parigi, dove Anna stringerà una profonda amicizia con Modigliani, che la riporterà presto in Francia per condividere col pittore interminabili letture e riceverne meravigliosi ritratti (disegnati a mente dall’artista, senza che ella posasse per lui).
Quello tra l’Achmatova e Gumilëv è un rapporto discontinuo, in cui entrambi si attraggono magneticamente e, con la stessa forza, si respingono. Sono legati tanto nella passione amorosa, quanto in quella intellettuale; insieme prendono parte alla “Cech Poetov” (la corporazione dei poeti nata nel 1911), da cui nasce in seguito il movimento dell’Acmeismo (il quale ambiva alla rottura dal simbolismo imperante).
Nel 1912 fu pubblicata un’edizione limitata di trecento copie della raccolta di poesie Di sera, che andò immediatamente esaurita.
La porta è socchiusa(Da Sera)La porta è socchiusa, dolce respiro dei tigli… Sul tavolo, dimenticati, un frustino ed un guanto. |
Strinsi le mani sotto il velo scuro(Da Sera)Strinsi le mani sotto il velo oscuro… Come dimenticare? Uscì vacillando, Soffocando, gridai: “E’ stato tutto 1911 |
Il 1° Ottobre del 1912 Anna dà alla luce il suo primo e unico figlio Lev Gumilëv
“La sua sensibilità poetica è istintiva e inesauribile, ella coglie ispirazione da tutto ciò che la circonda e in particolar modo dagli elementi naturali. Scriveva dappertutto: sul letto, in attesa del treno, ovunque” (Irina Punina, figlia di Nikolaj Punin).
La passeggiata(Da Rosario)La piuma urtò il tetto del calesse. Sera senza vento, avvinta di tristezza Aroma di benzina e di lillà, 1913 |
Ho smesso di sorridere(Da Stormo bianco)Ho smesso di sorridere, le labbra sono gelate, ad una sola speranza segue più di una canzone. Senza colpa cederò il canto al riso e alla profanazione, ché al colmo del dolore per l’anima è il silenzio d’amore. Carskoe Selo, aprile 1915 |
Anch’ella non è una donna che tace, il suo ardore la rende capace di gesti plateali e a volte inconsulti: nel 1918 pone fine al suo matrimonio con Gumilëv, sposando successivamente il poeta e studioso Vladimir Šilejko, uomo possessivo e geloso che la vuole tutta per sé, incapace di cogliere la natura libera ed eterea dello spirito di Anna. In questo turbolento terreno il loro idillio appassirà presto.
Nel 1921 arriva la pubblicazione di “Piantaggine” (1921), subito dopo “Proprio sul mare” e “Anno domini” (1922). In quella torrida e angosciosa estate del 1921, Gumilëv viene fucilato e non è il solo a pagare un alto prezzo: Anna subisce una pesante emarginazione essendo etichettata come ex-moglie di un controrivoluzionario, ma la sua tempra morale le impedisce fino all’ultimo di lasciare la Russia.
Ah, tu pensavi che anch’io fossi una(Da Anno Domini)Ah, tu pensavi che anch’io fossi una che si possa dimenticare e che si butti, pregando e piangendo, sotto gli zoccoli di un baio. |
Non ho chiuso le tendine(da Piantaggine)Non ho chiuso le tendine, guarda dritto nella stanza. Perché non puoi fuggire oggi sono così allegra. Dimmi pure svergognata, scagliami i tuoi sarcasmi: sono stata la tua insonnia, la tua angoscia sono stata. |
Non solo l’ostilità imperante, anche una vita di stenti appesantisce il suo fardello; gli amici rimasti la sostengono con regalie di viveri, lei ricambia organizzando dei poveri salotti del tè, i quali erano occasione di incontro furtivo atto alla diffusione delle sue poesie oramai sotto censura (durante questi incontri Anna, che sapeva di essere “ascoltata”, consegnava ritagli di carta sui quali erano appuntate le sue poesie, dando ordine agli amici di mandarle a memoria e distruggere le prove).
Nonostante tutto la vita va avanti, fino a che c’è fiato nei polmoni e il cuore continua a suonare i suoi battiti, c’è la forza istintiva e ancestrale dell’amore a muovere ogni cosa: nel 1925 Anna si unisce al critico d’arte Nikolaj Punin. Causa la scarsità di alloggi, si trasferisce presso la sua abitazione dando inizio a una disastrosa convivenza con lui, la sua ex-moglie Anna Arens, la loro figlia Irina e suo figlio Lev. L’infelicità soffocante di quel periodo è talmente densa e avviluppante da arrestare la sua vena poetica, privandola del sollievo di sciogliersi, come sua natura, in versi liberatori.
Ricomincia a scrivere solo nel 1936, dice: “La voce è cambiata, i versi suonano incessantemente, l’uno seguendo appresso all’altro, affrettandosi e respirando affannati e a volte, probabilmente brutti”. Due anni dopo va alla deriva anche l’unione con Punin. Un’ennesima scure si abbatte sull’ormai fragile animo dell’allora nobile discendente tatara con l’arresto di suo figlio Lev, arrestato e condannato a morte per consanguineità con il controrivoluzionario Gumilëv (pena poi commutata in deportazione presso campi di lavoro forzato).
Da questo momento in poi la Achmatova, madre di tutte le madri, si consuma ogni giorno in infinite e spesso infruttuose file fuori dal carcere delle Croci, esprimendo tutto il suo dolore e la frustrazione nel poemetto Requiem (anch’esso tramandato oralmente dagli amici a lei vicini, data l’impossibilità della pubblicazione).
Da RequiemNo, non sotto un estraneo cielo, Non al riparo d’ali estranee: Ero allora col mio popolo, La’ dove il mio popolo, per sventura, era. 1961 |
Ti hanno portato via all’alba(da Requiem, poesia 1)“Ti hanno portato via all’alba, Io ti venivo dietro, come a un funerale, Nella stanza buia i bambini piangevano, Sull’altarino il cero sgocciolava. Sulle tue labbra il freddo dell’icona. Il sudore mortale sulla fronte… Non si scorda! Come le mogli degli strelizzi, ululero’ Sotto le torri del Cremlino.” |
Seguiranno Nell’anno quaranta (1940) e Lungo tutta la terra (1941). I toni e i temi son cambiati: non è più la passione o la delusione dell’amore svanito, ma l’atrocità della guerra e la devastazione; Il vento della guerra, Elegie del Nord (1942-43), fino all’umiliazione dell’esilio in Frantumi.
Da Frantumi […] V.
Me, come una belva uccisa,
appendete ad un gancio cruento,
perché increduli e ridacchiando gli
stranieri mi girino attorno e scrivano
in fogli autorevoli che s’è spento il
mio dono senza pari, che ero poeta
fra i poeti, ma è scoccata la mia
tredicesima ora.
La resa totale giunge intrisa di vergogna nel 1950, anno in cui, per scongiurare ulteriori ripercussioni sul proprio figlio, la Achmatova si vede costretta a scrivere quindici liriche dedicate a Stalin, di cui proibirà categoricamente la pubblicazione.
Nel 1964 le viene concesso di varcare i confini della Russia per recarsi in Italia a ricevere il premio internazionale letterario “Etna-Taormina” e la laurea honoris causa presso l’Università di Oxford (1965).
Il cuore fragile e stremato di Anna Andreevna Gorenko cessa di battere il 5 Maggio del 1966, ma la forza espressiva e la lucidità della sua poesia continua a giungerci imperitura.
Quasi in un album
Sentirai il tuono e mi rammenterai,
penserai: desiderava una bufera…
Sarà una striscia di cielo accesa di rosso,
e il cuore come allora in fiamme.
E ciò accadrà nel giorno moscovita
in cui abbandonerò per sempre la città,
muoverò verso il bramato riparo,
lasciando in mezzo a voi ancora la mia ombra.
1961-63
Editoriale a cura di Stefania Angius.

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