Perché Andrej Tarkovskij viene definito sia come il più pompato, sia come il più sottovalutato regista russo? Da dove conviene iniziare a guardare i suoi film?
Basandoci sull’ottimo format del British Film Institute, iniziamo a raccontare le filmografie dei grandi registi.
«Il più pompato», «il più sottovalutato», «l’incarnazione della spiritualità russa»», «maestro di enfasi, snobismo e rumorosa vacuità», «un intellettuale col ‘naso freddo’», «un autore che scrive col proprio sangue». Tutti questi giudizi sono stati espressi nei confronti della stessa persona: il regista Andrej Tarkovskij.
Le parole chiave nei giudizi sui film di Tarkovskij sono «lunghezza», «noia», «complessità». E, ciononostante, Tarkovskij è stato e rimane una costante culturale fondamentale in relazione alla quale si orientano decine tra i più reclamati registi, da Iñárritu e von Trier a Soderbergh e Zvjagincev. È proprio al nome di Tarkovskij – a fianco di quello di Ejzenštejn, Kulešov, Dovženko, Paradžanov e Bondarčuk – che il cinema russo viene associato all’estero. A che cosa è legato questo paradosso, e per quale motivo i suoi film vengono considerati sopravvalutati da alcuni e sottovalutati da altri?
La risposta principale risiede nella struttura di questi film. Di solito, nella fase di esposizione lo spettatore fa la conoscenza dei personaggi principali con il desiderio di scrutare al loro interno. Ma, ad esempio, in Sacrificio, l’ultimo film di Tarkovskij, il primo cambio di inquadratura avviene dopo quindici minuti, mentre per un primo piano se ne devono attendere ben ventidue. Facendo così iniziare la propria pellicola, il regista afferma: io non mi avvicino, e tu non farti speranze; se vuoi guardare il film, dovrai esaminarlo con attenzione. In Sacrificio, così come in tutti gli altri film del regista, allo spettatore è richiesto un lavoro interiore sul piano emotivo o intellettuale. E se ci si lascia coinvolgere in questo processo, si viene inghiottiti dal film come in un imbuto; in caso contrario, invece, lo spettatore si sentirà respinto da ogni scena, battuta o dettaglio.
Il miglior film dal quale iniziare la conoscenza di Tarkovskij è Solaris (1972), tratto dall’omonimo romanzo di Stanisław Lem. Tarkovskij non amava il cinema di consumo, il cinema cosiddetto ‘di genere’, ma forse è proprio in Solaris più che in ogni altro suo film che egli si è avvicinato al canone di genere. In Solaris, Tarkovskij non solo elabora elementi del genere della fantascienza, ma trasporta lo sci-fi cinematografico su un piano filosofico, esistenziale. Tutti i tratti autoriali del suo stile qui si manifestano pienamente: narrazione lenta e lunghe inquadrature, tratti metafisici e problemi etici, immagini della natura (il film si apre con la leggendaria inquadratura delle alghe che ondeggiano al flusso della corrente) e rimandi all’arte mondiale (la Venera di Milo, Andrej Rublëv, Bruegel, Rembrandt, Bach). Come sempre in Tarkovskij, le immagini che pervadono il film – la pioggia, le correnti d’acqua, la strada, i cavalli, le mele, il fumo – non si riferiscono a qualcosa di concreto. Esse non sono allegorie con interpretazioni univoche (la volpe che indica l’astuzia, la lepre che indica la codardia), ma simboli che possiedono una molteplicità di significati.
A fronte di tale complessità, il soggetto del film è invece del tutto intelligibile: lo psicologo Kris Kelvin (Donatas Banionis) viene inviato su una stazione di ricerca in orbita attorno al misterioso pianeta Solaris per prendere una decisione circa la prosecuzione delle ricerche lì svolte. Oltre ai propri colleghi (Jüri Järvet e Anatolij Solonicyn), Kelvin trova all’interno della stazione anche altre persone, che si rivelano essere in realtà non esseri umani, ma dei cosiddetti «ospiti». Il plasma intelligente che ricopre il pianeta è in grado di creare una copia esatta di coloro nei confronti dei quali i cosmonauti provano un insostenibile senso di colpa. La notte stessa fa la sua comparsa Hari (Natal’ja Bondarčuk), la quale possiede le apparenze della moglie di Kris, morta sulla Terra alcuni anni addietro.
Per Tarkovskij, il soggetto fantascientifico diviene un pretesto per parlare della natura dell’uomo, delle categorie universali della coscienza umana: i tormenti morali, la fuga da se stessi, i ricordi inconfessabili e i tentativi di porre rimedio a ciò a cui è impossibile rimediare.
Dopo la visione del fantascientifico Solaris, si può tornare indietro di dieci anni per guardare due film di ambientazione storica. L’infanzia di Ivan (1962) è il lungometraggio di debutto del regista; la pellicola è dedicata al tema della guerra e viene premiata con il «Leone d’oro» al miglior film della Mostra del Cinema di Venezia. Andrej Rublëv (1966), che tratta invece dei rapporti dell’artista con il potere nella Rus’ medioevale, viene proiettato al Festival di Cannes, dove riceve il premio della federazione internazionale della stampa cinematografica (FIPRESCI). In entrambe le opere è già udibile chiaramente la voce di Tarkovskij, ma non sono ancora presenti la complessità e la polisemia che caratterizzano le pellicole degli anni Settanta.
Tra queste vi è Stalker (1979), con cui il regista si avventura nuovamente nel territorio della fantascienza. A differenza di Solaris – dove il soggetto del romanzo di Lem, benché rivisitato, viene comunque conservato – in Stalker, del romanzo Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij rimangono solo tratti di carattere generale. Tutti gli elementi del soggetto vengono caricati di simboli filosofici e religiosi, apocalittici e misantropici. Tarkovskij parla con lo spettatore attraverso enigmi la cui chiave ha senso ricercare non tanto all’interno nel film, quanto dentro di sé.
Una forma ancor più complessa viene scelta da Tarkovskij per la sua opera più importante, il film-confessione Lo specchio (1974). Qui Tarkovskij non solo parla per mezzo di enigmi, ma confonde intenzionalmente lo spettatore: Margarita Terechova interpreta sia la moglie che la madre del protagonista nei ricordi di quest’ultimo; Ignat Danil’cev interpreta sia il figlio del protagonista che il protagonista stesso nei medesimi ricordi; la nonna, il cui ruolo fu affidato alla madre del regista Marija Ivanovna, per qualche ragione non riconosce il nipote; inoltre, il nipote conversa con inesistenti inquilini all’interno dell’appartamento. La logica di tali incongruenze si manifesta quando capisci che il film replica il lavoro della memoria, con la sua frammentarietà, le sue deformazioni, sostituzioni e lacune. Proprio in virtù del complicatissimo lavoro svolto dal regista nella rappresentazione della realtà psicologica, Lo specchio viene inserito nella lista dei film più significativi della storia mondiale del cinema, e il nome di Tarkovskij si pone a fianco di quello di Fellini, Antonioni e Bergman.
Da Nostalghia (1983) e Sacrificio (1986). In questi due film, girati in Italia e in Svezia, vengono ripresi in larga parte i principali motivi e procedimenti della produzione di Tarkovskij, con Sacrificio a costituire inoltre il testamento spirituale del regista. Così che guardarli acquisisce senso soltanto una volta visti i primi cinque lungometraggi della produzione tarkovskiana. Così facendo, maggiori saranno le possibilità che le immagini della candela e della combustione, della purezza dell’anima e della lordura di un mondo che avanza verso l’apocalisse, della trappola razionale del progresso tecnologico, vicolo cieco morale dell’uomo, e della natura peccatrice ma salvatrice della donna non irritino lo spettatore, ma vengano da questi recepite come parte dell’immagine del mondo di Tarkovskij.
Le collaborazioni di Tarkovskij
Per Tarkovskij non era semplice intrattenere rapporti con i colleghi: sul set molti lo consideravano un despota e un tiranno. Per questo motivo, egli cercava sempre di lavorare con la stessa squadra, dove tutti potevano capirsi al volo. Tarkovskij realizzò L’infanzia di Ivan e Andrej Rublëv con la collaborazione del grande cineoperatore Vadim Jusov. Tarkovskij era pronto a proseguire la collaborazione con Jusov, ma questi, dopo aver letto la sceneggiatura-confessione de Lo specchio, si rifiutò di girare il film: la storia gli sembrò eccessivamente autobiografica. Tutti e cinque i film di Tarkovskij girati in Unione Sovietica furono montati da Ljudmila Fejginova; fu lei ad avere l’idea di inserire il celebre episodio «Io posso parlare» all’inizio de Lo specchio.
In tutti i film ‘sovietici’ di Tarkovskij venne affidata una parte a Nikolaj Grin’ko, il quale incarna la figura del padre così importante per il regista: Grin’ko ha interpretato il colonnello Grjaznov ne L’infanzia di Ivan, il pittore di icone Daniil Čërnyj in Andrej Rublëv; il padre di Kris Kelvin in Solaris, il direttore della tipografia ne Lo specchio e il Professore in Stalker. Tamara Ogorodnikova, organizzatrice della produzione cinematografica della Mosfil’m e direttrice della produzione di Andrej Rublëv, prese parte in ruoli episodici in Andrej Rublëv, Solaris e Lo specchio: Tarkovskij ne apprezzava l’aspetto aristocratico e il profilo achmatoviano. Le musiche di Solaris, Lo specchio e Stalker furono composte da Eduard Artem’ev, sperimentatore nel campo della sintesi e della progettazione elettronica del suono.
Citazioni su Tarkovskij
«Il film, se non è un documentario, è un sogno, una fantasia. Per questo Tarkovskij è il più grande di tutti. Per lui, i sogni sono trasparenti, egli non spiega niente e, del resto, che cosa dovrebbe spiegare? Egli è un veggente capace di incarnare le proprie visioni in un genere artistico più gravoso e allo stesso tempo più duttile. Per tutta la vita ho bussato alla porta che conduce in quello spazio dove egli si muove con palese naturalezza. Solamente una o due volte sono riuscito a inoltrarmi in quello spazio.» (Bergman i Tarkovskij. «Seans». 18 giugno 2008) Ingmar Bergman
«Amo tutti i film di Tarkovskij, Tarkovskij stesso e il suo lavoro. Ogni sua inquadratura è di per sé una magnifica rappresentazione. Ma la rappresentazione che viene eseguita è niente più che un’incarnazione incompleta della sua idea. Le sue idee sono realizzate solamente in parte. Ma egli questo doveva fare». Akira Kurosawa
«Ricordo quando vidi per la prima volta un film di Tarkovskij. Ne fui scioccato. Non sapevo come reagire. Ero rimasto affascinato dalla sua regia, perché d’un tratto avevo capito che il film può contenere una tale quantità di significati che prima non potevo nemmeno immaginare». Alejandro González Iñárritu
«La visione de Lo specchio fu un’esperienza spirituale perché davanti a me si aprirono mondi di cui non conoscevo l’esistenza, ma per i quali provai immediatamente simpatia». Lars von Trier
«Penso che una persona avvezza alla multidimensionalità e alla varietà della creazione artistica non uscirebbe mai da una sala dove viene proiettato, ad esempio, Solaris. In nessun caso (se escludiamo il momento del ‘non mi piace’) questi si rifiuterebbe di riconoscere al film veridicità e diritto di esistenza artistica, a prescindere dal fatto se la sua lingua – e, di conseguenza, ciò che tramite quella lingua viene detto – si rivelasse incomprensibile.
Certo, è la stessa originalità della lingua a non richiedere formazione e ad essere più forte di un’erudizione specialistica. Essa, io credo, richiede piuttosto un ingresso graduale, un ambientamento». Dmitrij Lichačëv
«In un certo senso, io penso che il giovane regista abbia voluto parlare di sé e della sua generazione. Non di coloro che sono morti, ma, al contrario, di coloro la cui infanzia è stata spezzata dalla guerra e dalle sue conseguenze. Potrei dire quasi: ecco la versione sovietica de I quattrocento colpi, ma per sottolineare meglio le differenze. Un bambino mandato in riformatorio dai suoi genitori: questa è la tragicommedia borghese. Migliaia di bambini distrutti ancor vivi dalla guerra, questa è una delle tragedie sovietiche. E proprio in questo senso il film ci appare come specificamente russo». Jean-Paul Sartre su L’infanzia di Ivan
«Se si parla di profondità del mondo interiore dell’artista che si spalanca sullo schermo (e quello interiore è sempre un riflesso di alcuni aspetti del mondo reale, giacché nel vuoto l’artista soffoca), particolare impressione ha suscitato in me l’arte di Andrej Tarkovskij. Noi diciamo che l’arte riflette il mondo, e questo è vero, ma essa ne rappresenta un riflesso particolare. Nell’arte riesce solo ciò che è sofferto. Ciò che è costruito non può essere portato a compimento. Sullo schermo possiede profondità solamente ciò che è stato sofferto da parte dell’artista; ciò che invece è costruito crolla come un castello di carte».
Il regista mostra la realtà e il suo riflesso per mezzo dell’arte: esteriormente, il riflesso non assomiglia affatto alla vita. Il regista riproduce i complessi legami invisibili della vita spirituale dell’uomo con il mondo in cui egli vive. Grigorij Kozincev
Nato a Pistoia nel 1993, ho studiato traduzione (inglese, russo e tedesco) presso l’Università di Trieste, dove mi sono laureato con una proposta di traduzione (destinata a rimanere tale) del romanzo Poslednij kommunist di Valerij Zalotucha. Nel 2017 ho avuto la possibilità di vivere cinque mesi ad Astrachan’ grazie a un programma di scambio universitario. Dal 2018 lavoro come traduttore libero professionista.
Nato a Pistoia nel 1993, ho studiato traduzione (inglese, russo e tedesco) presso l’Università di Trieste, dove mi sono laureato con una proposta di traduzione (destinata a rimanere tale) del romanzo Poslednij kommunist di Valerij Zalotucha. Nel 2017 ho avuto la possibilità di vivere cinque mesi ad Astrachan’ grazie a un programma di scambio universitario. Dal 2018 lavoro come traduttore libero professionista.
Non ho mai visto un film di Tarkovskij nonostante ne abbia già sentito parlare da alcune persone che conosco, ma dopo la lettura di questo articolo mi sono sinceramente incuriosito di vedere un suo film. Molto probabilmente partirò da “Solaris”
Grazie
Paula 23 Feb 2021
Fra realtà e fantasia nel labirinto dell’io, il gioco degli specchi e del nostro doppio,
costantemente trasmettono il dolore dell’esserci. I film di Tarkovskij sono un imperdibile sfinimento esistenziale, dove sempre affiorano i lati più insondabili di noi stessi
Non ho mai visto un film di Tarkovskij nonostante ne abbia già sentito parlare da alcune persone che conosco, ma dopo la lettura di questo articolo mi sono sinceramente incuriosito di vedere un suo film. Molto probabilmente partirò da “Solaris”
Grazie
Fra realtà e fantasia nel labirinto dell’io, il gioco degli specchi e del nostro doppio,
costantemente trasmettono il dolore dell’esserci. I film di Tarkovskij sono un imperdibile sfinimento esistenziale, dove sempre affiorano i lati più insondabili di noi stessi