È nelle tele di Giotto e Tintoretto, nella “pianura blu del mare”, nella vita ovunque illuminata dai raggi di un sole che batte su ogni cosa, dal campanile (di una chiesa invisibile) ai riccioli neri di un pescatore. La bellezza, come una donna, può essere apprezzata, conquistata, ma è impresa domarla. È in ciò che è statico, che si conserva intatto, immobile, fermo come in una vecchia fotografia, così come nell’attimo del mutamento, in cui sorge bellezza “nuova, a sostituire quella vecchia e sfiorente”. Tutto ciò attira inevitabilmente e sopraffà.
Venezia, nota Chodasevič già nel 1911, ammalia lo straniero e ne è inevitabilmente minacciata: “Nelle tasche dei suoi figli tintinnano monete di tutti i paesi del mondo.” Le folle che inondano l’Italia la soffocano, mostrandole il prezzo da pagare per la sua bellezza eterna.
Vediamo allora il tedesco, in fila per il giro in gondola organizzato perché possa sentirsi “un po’ veneziano”, una coppietta di francesi circondata da migliaia di luci di alberghi e locali di lusso, chiasso, rumore, americane con mantelli di seta, russe eccitate…
Tutto ciò uccide la silenziosa bellezza che è intorno, sembra voler suggerire Chodasevič, è volgare. Di italiani, oltre ai gondolieri, neanche l’ombra. Ma ecco, d’improvviso, qualcosa squarcia prepotentemente il cielo senza luna di una notte tanto stupida e vuota. Ed ecco l’Italia, vicinissima, proprio sotto un portico, al riparo: un vocio allegro e dolce, un grande applauso e un buon caffè. Perché “per quanto piacerebbe all’Italia essere brutta, proprio non le riesce.”
Un piccolo gioiello in un’edizione da adorare quanto il contenuto, inframmezzato da splendide fotografie di Venezia in bianco e nero e con testo russo a fronte (che riserva non poche belle sorprese).