Una guida quasi dialogica, a tratti didascalica, altrove piacevolmente colloquiale, nell’anima resta letterario-filosofica, con il pregio di un approccio estremamente democratico. Il testo è diviso in tanti piccoli capitoli, l’insieme dei cui titoli diventa un programma di luoghi comuni disattesi e idiosincrasie mai risolte di chi scrive: sappiamo, già solo dall’indice, che “Un giorno ti svegli” e “Niente Stravinskij sulla Prospettiva Nevskij”; ma si può sempre “Imparare a soffrire con Dostoevskij” e poi via “In treno con Venedikt Erofeev”.
Stefano Scrima, novello Marco Polo, è dichiaratamente e consapevolmente digiuno di Russia, ma usa una manciata di parole delle sue più illustri penne per aiutarsi a capire un paese e una cultura così dense. Arricchisce così l’intero volume con un consistente impianto citazionale – corredato di bibliografia, pur parziale – che lasci al lettore un’impronta, oltre che un’opinione.
Alle informazioni di carattere spirituale se ne aggiungono, a piccoli e più digeribili morsi, altre di carattere decisamente mondano, che rendono giustizia alla parola guida riportata nel titolo. Consapevole della sottile linea che corre tra dovere e piacere, Scrima calibra la dose di avvisi e ragguagli, addolcendo la pillola con note empatiche per il potenziale, ormai edotto viaggiatore futuro che si trova a dover fare i conti con la burocrazia dei visti della Federazione Russa.
È così che l’autore ci indica, non senza farci sorridere, come districarsi tra una babuška e l’altra, armati di solo Yandex translate e di un glossario meno che minimal. Le problematiche vere, però, sono ben altra cosa. La difficoltà del viaggio si declina per l’autore attraverso una condizione romanticizzata dell’essere – la solitudine – qui sublimata dal viaggio solitario. L’uso di questo aggettivo ci conduce ad un ultimo aspetto saliente della guida, che richiede pertanto una postilla.