Una bellissima, di nobili origini dell’Europa cattolica; l’altra fragile, claudicante. Eppure, la mistificazione letteraria funziona alla perfezione, anche in quei voluti inciampi linguistici apparentemente forestieri, che però rivelano, come rileva Annenskij, una ragazza che pensa in russo.
Questo ciò che aspetta chi schiude questa piccola perla, scovata nel mare dell’età d’argento. A prendere per mano il lettore nell’approccio a questa manciata di versi è il meno lirico e più pratico impianto paratestuale, che esordisce con la stessa citazione qui in epigrafe.
Alla curatrice va il merito non solo di una traduzione che calcola le asimmetrie dell’originale, ma anche di farci scoprire l’autrice con poche parole ben dosate. Da ultimo, la premura di dotare mole liriche di note ci ricorda che, oltre la suggestione verbale, c’è un cosmo di rimandi letterari ed episodi umani di un’epoca che vale la pena di cogliere.
Nonostante la non sempre perfetta convivenza con l’autrice, nella poesia di questa identità inventata si ripetono idiosincrasie riconducibili a nessun altro se non a Čerubina. Le suggestioni offerte al lettore sono quelle di un erotismo mistico e di realia tipicamente mediterranei, primi tra tutti il vino, la rosa, il rubino e la simbologia del colore rosso, su cui si basa forse non solo l’anima iberica di Čerubina, ma anche quella russa di Elizaveta.
Liriche latine, quelle della de Gabriak, distinte per la spontaneità di una calcolata trascuratezza formale, che ne fa quasi un peccato di gola.